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Bollettino di coordinamento dei Comunisti Anarchici e Libertari in CGIL n. 3 luglio ’11

 

28 giugno 2011:accordo Confindustria -  CGIL,CISL e UIL .
L’Utopia riformista  si scontra  con la sua incapacità  di progettare
un orizzonte ulteriore alla difesa della propria borghesia nazionale.

di Cristiano Valente

IL nuovo protagonismo
Nel precedente numero di Difesa Sindacale dicevamo che il documento sulla contrattazione, definito  nel Direttivo Nazionale  della CGIL del 10/11 maggio 2011, non rappresentava una proposta all’altezza  dello scontro in atto e che tale ipotesi confliggeva con la diffusa percezione a livello di massa di una rinata fiducia nella lotta, nel protagonismo politico dei movimenti e dello stesso movimento operaio.
Indicavamo lo sciopero generale del 6 di maggio una prima tappa alla rinascita di quel movimento politico e sociale che poteva ribaltare i rapporti di forza  esistenti, scompaginare il blocco sociale che fino ad oggi aveva sostenuto e votato per il centro destra, coagulare intorno alla CGIL  settori di movimento giovanile e di genere nella prospettiva dell’unificazione delle battaglie parziali.
I referendum  sulla gestione dell’acqua e sul nucleare,  stravinti nel merito dei quesiti e soprattutto nella partecipazione e  nel raggiungimento del quorum, avevano confermato ed in parte accelerato un tale indirizzo già in parte evidenziato nelle scelte politiche delle elezioni amministrative con la vittoria dei candidati di sinistra e di centro sinistra nei maggiori capoluoghi italiani.
Di fronte a tale scenario la segreteria della CGIL si è assunta il compito di mettere una pietra tombale a  questo processo appena germogliato.
L’accordo siglato congiuntamente con CISL, UIL e Confindustria il 28 di giugno, non solo rintroduce una concezione ed una prassi sindacale che sta alla base dell’accordo separato del 2009 e che la CGIL non aveva giustamente firmato, ma ottiene il risultato politico di  isolare  una categoria come la  FIOM  che da sempre ha rappresentato, nel bene e nel male, il termometro dei rapporti di forza fra le classi e quindi l’avanzamento o l’arretramento di tutto il fronte sindacale, politico e sociale nel paese.
Non si tratta affatto di mitizzare una categoria, né  tanto meno esaltare un gruppo dirigente il quale non  è affatto esente o escluso dai processi di collaborazione e di svendita che hanno determinato questa stagione di relazioni sindacali e questi rapporti di forza, ma si tratta di capire, da materialisti, i fatti concreti e la percezione che questi hanno  a livello di massa e se questi possono aiutare e stimolare  processi ulteriori di partecipazione,  di passione politica, di crescita dei livelli di coscienza e di organizzazione.  
Nella percezione diffusa la FIOM, a seguito della coraggiosa ed isolata battaglia contro la FIAT,   era ed è la punta di questa rinata resistenza, rappresenta un  riferimento organizzativo concreto e solido delle giovani generazioni, come molto bene si era visto dalla partecipazione e dal seguito che le iniziative per i suoi 110 anni avevano ottenuto.
La CGIL che, seppur vero “non è un movimento” come afferma la sua Segretaria , ma un grande sindacato con la predisposizione alla tutela generale dei diritti delle classi lavoratrici e non mera struttura corporativa o di tutela dei propri associati, doveva e poteva assumere il compito di contenitore e riferimento per tutto il movimento.
Lasciare isolato il gruppo dirigente FIOM, abbandonare una intera categoria di lavoratori che oggi più di altri comparti  subisce la difficoltà della situazione economica e sociale e vive nei luoghi di lavoro un arretramento considerevole dei diritti acquisiti e delle stesse libertà sindacali, è politicamente folle, al di là di ogni valutazione dei singoli esponenti sindacali e delle battaglie parziali.
Il perché di una tale scelta da parte del massimo organo della CGIL, se può sfuggire alla comprensione immediata, trova giustificazione nel ruolo storico che hanno svolto e svolgono i cosiddetti riformisti; disponibili sempre ad assumere ed a difendere gli interessi delle proprie borghesie nazionali e solo all’interno di questo paradigma,  porre attenzione alle sorti ed ai diritti delle classi meno abbienti ed ai lavoratori.
Tale caratteristica storica in momenti di gravissima crisi come l’attuale non permette neppure di svolgere quel ruolo duale da parte riformista che è quello di garantire comunque ad una parte maggioritaria di lavoratori e di popolazione parte dei benefici economici e sociali.

Questo gravissimo deficit ideologico, insito nell’utopia riformista, nei momenti di crisi economica come l’odierna, quando gli interessi della classe  imprenditoriale vengono messi a rischio dalla competizione internazionale e lo stesso blocco sociale che esprime la sua adesione  ai governi conservatori inizia a lacerarsi, invece di facilitare tale processo a favore ed a difesa dei diritti delle classi meno abbienti,  ne permette un rinnovato compattamento in veste nazionalista a favore del  padronato e dello stesso governo.
Non casualmente Marcegaglia ed il Ministro  Sacconi esaltano e salutano tale ipotesi di accordo come tappa fondamentale per le nuove relazioni fra padronato governo e organizzazioni sindacali.

L’opposizione di classe in cgil
Ciò che invece non è affatto chiaro è l’assenso dato a questo accordo di un'area di lavoratori e di compagni facenti parte di Lavoro Società, area sindacale che, seppur collocata nella maggioranza dopo il XVI congresso della CGIL, mantiene una collocazione di classe nei suoi propositi costitutivi e  negli stessi profili e nelle storie personali dei  compagni che conosciamo molto bene essendo, molti di noi, parte di questa stessa area.
Per quale motivo dopo il già sofferto dibattito interno e le forti critiche che l’articolato del Direttivo Nazionale di Maggio aveva creato nell’area, il coordinatore nazionale di LS ha ulteriormente confermato quell'indirizzo, fino a votare con la maggioranza nell’ultimo direttivo del 5/7, rinnovando  l’adesione a quel progetto di rappresentanza e di contrattazione ?
Francamente ad oggi ci sfugge la risposta ed il senso politico.  Ci auguriamo che all’interno della stessa area ci sia possibilità di discutere lungamente,francamente e serenamente.
Allora vediamo di entrare nel merito  dell’accordo del 28/6/2011 e del successivo documento finale del 5/7/2011 del direttivo nazionale CGIL.
Per quanto riguarda la rappresentanza e la certificazione sindacale, elemento potenzialmente positivo che potrebbe aiutare i processi democratici, evitando la sottoscrizione di accordi da parte di organizzazioni sindacali minoritarie, aspetti su cui il compagno Nicolosi, ha espresso un giudizio positivo tale da giustificare l’assenso all’accordo, in realtà secondo noi, la confusione e l’approssimazione è sovrana.
Intanto non definendo un unico modello di rappresentanza nei settori privati, fra  le RSU, (ipotesi  questa contenuta nell’accordo del ‘93 e generalizzate nel Pubblico Impiego) o  le RSA, per come le norma la Legge 300 - Statuto dei lavoratori, ma anzi contenendole e prevedendole entrambe, indicando come criterio di certificazione sindacale la certificazione all’INPS la rappresentatività sarà di fatto in larga parte misurata sul solo data associativo.
Nelle piccole realtà lavorative, così come per i lavoratori assunti a tempo determinato, la quota sindacale viene percepita direttamente dalle strutture sindacali e non dalla trattenuta del padrone anche a salvaguardia dei lavoratori.
Questi dati non sarebbero disponibili e pur non essendo forse numeri significativi è comunque significativo politicamente non considerare parte di lavoratori, quelli meno garantiti e protetti come i lavoratori delle piccole realtà industriali ed i precari.
Nella fabbriche al di sotto dei quindici dipendenti le RSA non sono presenti, tanto meno le RSU  e in ambiti lavorativi come quello metalmeccanico la presenza di piccole realtà lavorative, soprattutto negli appalti è di norma.
Riportavamo, sempre nello scorso numero di Difesa Sindacale, come  l’impresa manifatturiera italiana sia formata di media da 9 addetti a fronte dei 36 di un azienda tedesca e dei 14 di una francese.
Inoltre le realtà associate a Confindustria non sono la totalità dell’imprese ed inoltre ancora essendo previsto il doppio binario fra RSU e RSA misurare esattamente la rappresentanza  complessiva di un settore è cosa impossibile.
Non casualmente a completezza dell’accordo con Confindustria c’è l’accordo così detto endosindacale il quale rimanda a regole di rappresentanza ancora da definire in quanto lo stesso accordo del ’93, accordo formalmente ancora in vigore,  il quale prevedeva la generalizzazione delle RSU e di fatto il superamento delle RSA, da ottobre prossimo non sarà più valido, avendo la UIL disdettato formalmente tale accordo.
Tale disdetta è in evidente contraddizione con quanto si afferma al punto 4 dell'accordo in riferimento alle RSU dove si afferma che saranno “elette secondo le regole interconfederali vigenti” quindi sulle basi dell'accordo del 1993 che prevedeva la clausola della riserva di un terzo per CGIL, CISL e UIL.

Essendo quanto mai oscure le prossime regole di rappresentanza, quello che rimane certo sono le RSA, ed è  per questa via che anche la FIAT può rientrare in Confindustria, anzi potrà non uscire dal 1 gennaio 2012, garantendo la presenza in fabbrica solo alle RSA che avranno firmato gli accordi .
Attualmente l’Amministratore delegato FIAT Marchionne, pur valutando un notevole passo in avanti nelle relazioni industriali l’accordo del 28 giugno 2011, non si ritiene del tutto soddisfatto in quanto non essendoci trasposizione in legge di tale accordo valgono ancora quelli precedenti e quindi al momento il contenzioso giudiziario che la  FIOM  ha intrapreso può essere ancora dirimente per gli accordi separati,  ma forse è solo questione di tempo.
Infine si stabiliscono clausole di tregua sindacale vincolanti per le rappresentanze sindacali delle organizzazioni confederali sottoscrittori di tale accordo bloccando quindi la possibilità alle stesse RSA di categoria di non firmare, se in disaccordo.
Alla faccia dell’autonomia e del rispetto delle dinamiche categoriali che pure per altro verso si usano a giustificazione delle stesse deroghe ai contratti nazionali.
Infine il sindacalismo di base importante non tanto per il suo peso numerico, quanto per la provenienza dei suoi quadri, in massima parte ex iscritti CGIL, così come per la disponibilità alla partecipazione ed alla lotta di buona parte dei propri i iscritti.
Tutto questo mondo verrà sospinto ancor più ai margini della battaglia sindacale con artifici normativi e vere e proprie scappatoie regolamentari, senza che vi sia stata una reale “competizione” sindacale, ma soprattutto senza porsi il problema del recupero di tali energie e disponibilità  e della stessa unità d’azione che invece diventa dogma con CISL e UIL.
Non solo queste strutture non avranno le proprie rappresentanze nelle RSU che molto probabilmente non si faranno ma non potranno disporre neppure delle RSA in quanto non firmatarie di contratto.
La conferma del doppio livello e della gerarchia del contratto nazionale su quello aziendale è solamente indicata al punto 2 ma contraddetta e messa poi in chiara posizione rovesciata al punto 7 la dove nella prima parte vi è la ratifica delle deroghe a regime dove si specifica che “ i contratti collettivi aziendali possono attivare strumenti di articolazione contrattuale mitati ad assicurare la capacità di aderire alle esigenze degli specifici contesti prfoduttivi”, stupendo artificio linguistico per definire le deroghe senza citarle, quantunque nell'ambito dei “limiti  e con le procedure previste dagli stessi contratti nazionali di lavoro”  . Nella fase transitoria le possibilità di deroghe sono più ampie   

“……i contratti collettivi aziendali conclusi con le rappresentanze sindacali operanti in azienda, d’intesa con le organizzazioni sindacali territoriali firmatarie del presente accordo interconfederale, al fine di gestire situazioni di crisi o in presenza di investimenti significativi per favorire lo sviluppo economico ed occupazionale dell’impresa, possono definire intese modificative con riferimento agli istituti del contratto collettivo nazionale che disciplina la prestazione lavorativa, gli orari e l’organizzazione del lavoro”
Inoltre per la validazione dei contratti aziendali basterà il 50% più uno la dove vi sono le RSU e in tale caso nessuna consultazione altra è prevista.
Inoltre una RSU che approva il contratto contro il parere per esempio della CGIL non permette di chiamare al voto i lavoratori.
Dove vi sono le sole RSA queste possono firmare se rappresentano il 50% più uno dei soli iscritti sindacali e non del totale dei lavoratori.
Si può ricorrere al referendum se il 30% dei lavoratori lo chiede, ma per vincere al referendum questi devono ottenere il 50% più uno degli aventi diritto al voto.
La sproporzione è evidente:  se si ha il 51 % del 20 % dei sindacalizzati puoi firmare per tutti, altrimenti occorre la metà più uno del totale dei lavoratori.
Per quanto riguarda la tregua sindacale essa  è valida per tutte le RSA delle organizzazioni sindacali che hanno firmato l’accordo.
Infine l’accordo sul salario accessorio, previsto e normato al  punto 8 dell’accordo,  mette un suggello alla filosofia dell’accordo e lo giustifica complessivamente in quanto premia  e detassa il salario accessorio,  inevitabilmente contrattato proprio al secondo livello.
Che fine ha fatto l’affermazione ed il proposito di riconquista di un forte sistema contrattuale e la scelta di far crescere i salari (tutti i salari e non solo di quelli  che hanno la possibilità della contrattazione di secondo livello) dall’attuale 40% al 51% del PIL confermata nello scorso Congresso e che fu uno degli elementi che giustificò la scelta degli stessi compagni di Lavoro Società per la condivisione del documento unitario?  La domanda è retorica
Di fronte a questo  perchè continuare ancora a difendere l’accordo.?
Cosa è cambiato, in termini di rapporti di forza dall’ultimo Congresso ad oggi per accettare questo terreno così arretrato ed in contraddizione con le precedenti argomentazioni, quando quella forbice della distribuzione dei redditi si è caso mai ulteriormente acuita e generalizzata ?
Quale arguzia o tattica sindacale può mai giustificare l’isolamento del  gruppo dirigente della FIOM, lasciarlo scoperto tanto che i compagni di Lavoro e Società della FIOM non hanno nemmeno partecipato al voto del Comitato Centrale.?
Una questione di democrazia
Per ultimo, ma non ultima come importanza e valenza politica sono le modalità scelte di pronunciamento dei lavoratori da parte del Direttivo del 5 luglio 2011, che è dir poco scandalose.
Contraddittoriamente allo stesso accordo endosindacale, la dove questo dice che:
 “ Le Segreterie assumono le ipotesi di accordo e le sottopongono alla valutazione e approvazione dei rispettivi organismi direttivi per la firma da parte delle stesse,previa consultazione certificata tra tutti i lavoratori, le lavoratrici, …. come già avvenuto nel 1993 e nel 2007 “ 
CISL e UIL non si sono affatto rese  disponibili a consultare tutti i lavoratori, e così andremo ad una consultazione solo come iscritti CGIL  e secondo il documento finale del direttivo del 5/7 il pronunciamento si articolerà nel seguente modo:
“ ….. le assemblee degli iscritti si svolgeranno a partire dal 12 luglio e termineranno entro il 16 settembre….. l’esito finale lo renderà pubblico martedì 20 settembre 2011.”
Quale corretta e serena consultazione può essere fatta nei mesi  di Luglio e Agosto visto che si vuole chiudere la consultazione il 15 Settembre.
In generale in questi due mesi i posti di lavoro sono semivuoti se non totalmente chiusi, come le poche fabbriche rimaste aperte che comunque chiudono di Agosto.
La stagione delle furberie si ripete stancamente.
Tutti gli accordi importanti si sono svolti a cavallo dell’estate quando l’attenzione e  la presenza nei posti di lavoro sono minori.
Fu cosi per l’accordo di luglio ‘92 sulla scomparsa della scala mobile e per il successivo del 23 luglio 1993 appunto avvenuto esattamente un anno dopo.   
Speriamo con queste prime note di poter contribuire comunque alla chiarezza ed alla necessaria discussione che ci vedrà impegnati come militanti della lotta di classe all’interno della CGIL.


 


Per un dibattito sull’opposizione interna alla CGIL
di Giulio Angeli

            Troppo poco si discute e si conosce intorno all’opposizione interna alla CGIL, e quando lo si fa si procede per schieramenti, quasi sempre secondo il seguente schema:  la vecchia storica opposizione rappresentata dall’area programmatica “Lavoro e società” (evoluzione, nel tempo e nelle aggregazioni, di “Essere Sindacato” e poi di “Alternativa Sindacale”) è oggi nellamaggioranza e, dopo il XVI congresso, la nuova opposizione è rappresentata dall’area programmatica “La CGIL che vogliamo”. Segue poi  il riferimento al gruppo di opposizione “Rete 28 aprile” , la cui costituzione risale al 2005,  che si ripropone di creare una rete interna alla CGIL per estendere l’indipendenza e la democrazia sindacale. Infine, il cardine su cui si basa l’attuale opposizione è costituito dalla maggioranza della FIOM e dal suo gruppo dirigente. Questa schematizzazione è certamente condivisibile, nel senso che descrive lo stato dell’arte dell'opposizione interna all'organizzazione, ma è necessario procedere oltre questa descrizione per orientarsi nel senso della storia, per comprendere gli sviluppi e i rilevanti limiti che rischiano di rovinare un patrimonio di opposizione, così come è andato confiigurandosi dal XIV  congresso (febbraio 2002) in poi.
            Non si tratta, infatti, di tessere “l’agiografia” dell’opposizione interna alla CGIL, né di realizzare dietrologie, ma di individuare quando e come i contenuti più avanzati dell’opposizione interna divengono, sia pure parzialmente, patrimonio collettivo dell’organizzazione.
Dal XIV congresso
            Il XIV congresso fu caratterizzato da un confronto serrato che si chiuse con un documento unitario tra i più avanzati della storia della CGIL; un documento i cui contenuti   supporteranno la stagione che vedrà la CGIL rompere con la tradizione concertativa  per arginare, ritardandola, la deriva neocorporativa del sindacalismo italiano che troverà un ulteriore consolidamento nel “Patto per l’Italia” del luglio del 2002 e che la CGIL,  coerentemente, non firmerà.
            Con queste affermazioni non intendiamo attribuire all’area programmatica “Lavoro e società – Cambiare rotta”  - questo era il titolo del documento di minoranza al XIV congresso – il merito esclusivo di questa proficua inversione di tendenza, ma significare come questa inversione che andò sviluppandosi in tutta l’organizzazione, al centro come in periferia e nelle categorie, abbia costituito una delle premesse fondamentali dell’ indiscutibile rinnovamento della CGIL. 
            Non vogliamo nemmeno illuderci e illudere circa le possibilità di recupero del maggiore sindacato italiano: le svolte sono tali perché vengono impresse ma, spesso, non sono incisive e non modificano la vera natura del soggetto che tende a riemergere, anche dopo molti anni. Soprattutto le svolte devono essere continuamente alimentate dalla chiarezza e dall’efficacia di un tessuto militante che deve essere coltivato per creare nuovi e più numerosi quadri con un rapporto “dialettico” con i gruppi dirigenti che, inevitabilmente, subiscono gli influssi della burocrazia e tendono naturalmente alla moderazione.
            Per un lungo periodo che dal XIV congresso del 2002 giunge fino al luglio del 2007 alla firma cioè, anche della CGIL, del “Protocollo su previdenza, lavoro, e competitività per l’equità e la crescita sostenibili”, meglionoto come “accordo sul welfare” fortemente voluto dal governo Prodi allora in carica, questa dialettica si mantiene relativamente viva, ed è rappresentata dall’area programmatica “Lavoro e società” (d'ora in poi LS) e dalla FIOM, perché la “Rete 28 aprile” nata come gruppo qualificato di opposizione rimane tale, riuscendo a sopravvivere erodendo spazi lasciati liberi da “Lavoro e società”, in virtùdiposizioni alquanto radicali, che spesso si riducono alla sola testimonianza, esprimendo  una presenza molto saltuaria tra le categorie e tra i lavoratori.
            Anche il Comitato Centrale della FIOM si schiera, come LS, contro l'accordo sul Welfare: ma se LS porterà all'esterno il suo dissenso quello della FIOM rimarrà interno alla categoria, per essere utilizzato dal suo gruppo dirigente come elemento di pressione nei confronti del gruppo dirigente nazionale della CGIL in una dialettica tutta interna agli apparati.
            Nel settembre del 2007, infatti, LS raccogliendo l'appello di numerosi delegati aderisce alla manifestazione di Firenze contro l'accordo medesimo: la manifestazione trova l’entusiastica adesione di LS della Toscana e  conferisce visibilità pubblica al dissenso interno CGIL. La reazione del gruppo dirigente nazionale della CGIL è pesante - si parla di “manifestazione contro la CGIL”  e si invocano provvedimenti - specialmente in Toscana là dove anche il segretario generale regionale della FIOM esprime giudizi estremamente critici, forzando l’atteggiamento della FIOM nazionale che, rispetto alla manifestazione, risulta estremamente distaccato, nonostante il disaccordo espresso dal suo comitato centrale nei confronti dell’accordo. 
            Con la manifestazione di Firenze si delinea la situazione dell’opposizione interna alla CGIL: l’area programmatica “LS” , per quanto faccia parte di un accordo con la  maggioranza, non è “valorizzata” nella segreteria nazionale in quanto il suo nuovo coordinatore nazionale (Nicola Nicolosi) ne è escluso. Il segretario generale Epifani al riguardo ha, infatti, preso tempo, congelando la situazione in segreteria in conseguenza dell'uscita del coordinatore nazionale di LS (Patta) per limiti statutari e divenuto nel frattempo sottosegretario del governo Prodi. La FIOM si va orientando verso l’opposizione e il no all’accordo ne è una prova: ma tra il suo gruppo dirigente cresce parallelamente l’intento, che poi per la storia della FIOM è una necessità, di gestire in prima persona questa nuova stagione, dimostrando insofferenza verso altre forme di dissenso, specialmente se organizzate in aree programmatiche trasversali alle varie federazioni della CGIL. E’ un dato di fatto che il gruppo dirigente FIOM non abbia mai tollerato la presenza di “LS” all’interno della categoria e che ne abbia ostacolato la costituzione e la stessa esistenza. Le ragioni di questo ostracismo sono numerose. Esse risalgono alla storia della FIOM quale categoria cardine della CGIL e dell’intero movimento operaio e sindacale italiano, ma anche alla sua esposizione alla ristrutturazione capitalistica che nel settore auto è più aggressiva che altrove. E’ quest’ultimo un aspetto fondamentale sul quale poco si è discusso: le dinamiche della crisi e della competizione sui mercati internazionali fanno del settore dell’auto il banco di prova per il capitalismo e chi vince lì, risulterà rafforzato. Questa logica coinvolge, inevitabilmente, anche i sindacati del settore dove la FIOM investe tutta la sua storia e la sua forza. Il gruppo dirigente comprende che la nuova stagione implica la rottura, sia pure graduale, con la vecchia e superata concertazione, a suo tempo sostenuta anche dalla FIOM: inizia quel processo che porterà la FIOM a porsi come elemento aggregante di un dissenso interno ed esterno alla CGIL. Il gruppo dirigente di “LS” reagisce a questa nuova tendenza in modo inadeguato, rinfacciando alla FIOM l’ostracismo ostentato nei suoi confronti e la chiusura di ogni spazio per la sua l’iniziativa interna alla categoria. Se da una parte il gruppo dirigente FIOM tende effettivamente a porsi come punto di riferimento per la nuova opposizione  è essenziale capire che, per la prima volta, una categoria importante entra in contrasto con il gruppo dirigente nazionale della CGIL su una questione centrale quale la concertazione e le compatibilità. Vero che queste erano già state criticate al XV congresso (marzo 2006) conclusosi unitariamente, ma è anche vero che le componenti più moderate della CGIL, quelle legate ai vari governi amici e alle loro compagini parlamentari, tendono a far rientrare dalla finestra ciò che è uscito dalla porta. Dopo il XV congresso, infatti, seguono le chiusure di  una serie di contratti inadeguati (ferrovieri per esempio) che non difendono gli interessi dei lavoratori e che contraddicono le scelte congressuali. Né da parte di “LS” né da parte della FIOM ci fu la forza e la volontà di arginare questa tendenza degenerativa: “LS” continuò a prestare attenzione al suo ruolo esclusivo di area programmatica e la FIOM continuò a considerarsi come categoria. Entrambi questi atteggiamenti sarebbero risultati inadeguati e l’opposizione avrebbe dovuto unirsi sulla base di una piattaforma superando le schermaglie tra gruppi dirigenti che, invece, continuavano a litigare ; se le proposte unitarie ci furono esse non furono ben preparate e, non coinvolgendo i lavoratori, rimasero terreno di scontro dei soli gruppi dirigenti.
Prove pratiche di unità
            Così fu anche nel 2008 quando “LS” e FIOM si trovarono a condividere le critiche al documento unitario di CGIL-CISL-UIL sulla contrattazione, documento poi accantonato con l'accordo separato del gennaio 2009.  Le prove di unità a sinistra sfociarono in un appuntamento significativo, nel luglio 2008, quando venne convocata a Roma una assemblea pubblica “da 31 componenti del Direttivo nazionale della CGIL”, un'area composita che andava oltre i confini di “LS” e della FIOM. Fu però in tale occasione che Rinaldini, segretario generale della FIOM, tenne a ribadire che l'assemblea era su motivi contingenti escludendo qualsiasi aggregazione programmatica futura.
            Lo sfumare al momento di ogni prospettiva di aggregazione di un'ampia “sinistra sindacale di classe” segnò anche l'inizio della fase precongressuale in CGIL con la FIOM che, non riconoscendo le aree programmatiche e tendendo al loro superamento, cercava di tessere una alleanza con la Funzione Pubblica e con il suo Segretario generale Podda.  D’altronde, il ruolo accresciuto della FIOM nella realtà dello scontro di classe non poteva che risultare egemone per una questione di storia e di numeri, cioè per la sua capacità di incidere nei rapporti di forza tra capitale e lavoro, che non era certamente quella, sia pure non sottovalutabile, espressa da “LS”. In parole più chiare: la FIOM aveva ormai assunto nei fatti il ruolo di punto di riferimento per l’opposizione interna alla CGIL quale punta avanzata dell’intera opposizione sociale, oscurando quello rappresentato da “LS” che rimaneva assolutamente e inevitabilmente interno all’organizzazione. Questo contrasto che rimane all’interno dei gruppi dirigenti e non coinvolge i lavoratori di entrambi gli schieramenti,  unitamente alla reciproca incapacità di sviluppare un percorso unitario è alla base delle scelte, inevitabilmente diverse, che condurranno al XVI congresso della CGIL e che vedranno “LS” adeguarsi alla maggioranza e il gruppo dirigente FIOM identificarsi con la mozione n. 2 “La CGIL che vogliamo” che coinvolgerà anche altre categorie quali la Funzione Pubblica e la FISAC. I risultati congressuali non premieranno questa nuova aggregazione di minoranza che, dopo il congresso, sarà costretta a costituirsi in “area programmatica”, scelta a suo tempo risolutamente negata dalla FIOM medesima e dal suo segretario generale di allora che, spinto dalle necessità che si era rifiutato di considerare, assume il ruolo di coordinatore nazionale de “La CGIL che vogliamo” quale nuova area programmatica di minoranza dopo il XVI congresso.
Conclusioni provvisorie
            Questa schematica ricostruzione, su cui certamente ritorneremo per ulteriori approfondimenti,  si è resa necessaria al fine di individuare le motivazioni che hanno visto il gruppo dirigente di “LS” come incapace di intercettare l’opposizione della FIOM cogliendone le particolarità e l’importanza, per schiacciarsi con la maggioranza moderata, disponibilissima a subire le pressioni del Partito Democratico, e per cogliere anche l’intento del gruppo dirigente FIOM di condizionare, con il rilevante peso della categoria, le vicende dell’opposizione interna alla CGIL. Evidentemente il gruppo dirigente della FIOM, dovendo fronteggiare un attacco padronale di eccezionale intensità, non si sentiva rappresentato da “LS” il cui percorso aveva tenacemente avversato e non era disponibile a mediare con altri ruoli di opposizione. In considerazione della propria forza indiscussa ha tentato, con un’operazione esclusivamente di vertice, di saldare attorno a se altre categorie (Funzione Pubblica, e credito e assicurazioni rappresentate dalla FISAC) ma i risultati congressuali sono stati alquanto deludenti e la nuova minoranza, l’area programmatica “La CGIL che vogliamo”, è rimasta un fenomeno quasi esclusivamente legato alle vicende della FIOM. Con il XVI congresso l’opposizione di classe interna alla CGIL è stata fortemente ridimensionata, e l’intera esperienza FIOM rischia oggi l’isolamento perché è incapace di comunicare con le altre istanze della CGIL, le cui opposizioni interne risultano indebolite e divise. Chi scrive ritiene che siano stati commessi numerosi errori. Da una parte, il gruppo dirigente di “LS” ha individuato nella FIOM un concorrente e non è stato disponibile a effettuare i necessari  passi indietro per rendere possibile l’interlocuzione; dall’altra il gruppo dirigente della FIOM ha ostentato una chiusura totale rispetto alle altre istanze di opposizione, non capendo che la diffusa presenza intercategoriale di “LS” poteva costituire un ottimo presupposto su cui innestare la propria esperienza di lotta e veicolarla agli altri lavoratori. Ciò avrebbe consentito all’opposizione di presentarsi unita su di una specifica piattaforma d’intenti  al XVI congresso. Se questi passi fossero stati effettuati  i risultati congressuali avrebbero potuto essere più consistenti, rendendo più difficile  il ritorno alle derive concertative che rischiano di soffocare e disperdere la preziosa esperienza della FIOM e l’intera opposizione di classe interna alla CGIL. Cercare di comprendere i limiti di un’esperienza è il primo passo pratico per la ripresa. L’opposizione interna alla CGIL ha bisogno di unità per poter essere efficace e incisiva, ma deve superare le schermaglie tra gruppi dirigenti e calarsi in reali processi unitari su obiettivi definiti per coinvolgere i lavoratori e ostacolare la deriva neocorporativa del sindacalismo italiano.   

 


 

Questo numero di Difesa sindacale è dedicato ad una riflessione sull’accordo del 28 giugno  e ad un primo contributo sulle dinamiche interne alla CGIL.
L’appuntamento è per settembre per riprendere il filo della discussione sul conflitto necessario per contrastare la deriva neo- autoritaria nel paese e sulla necessità di mantenere aperta in CGIL una prospettiva di classe.

 

  Contatti : difesasindacale@gmail.com